Estratto da
[65]:
"Con censura preventiva cinematografica si intende una pratica censoria
per la quale, un funzionario, dopo aver letto il
soggetto o la sceneggiatura, prima dell’inizio delle riprese, consiglia
una serie di modifiche per evitare polemiche, perdite di
tempo e di denaro in fase di censura definitiva.
Il cinema italiano è sempre stato un sorvegliato speciale per la
politica. Già Giovanni Giolitti invitava i prefetti del Regno a
controllare i trattenimenti cinematografici ancor prima dell’istituzione
di una legge sulla censura. Quando questa venne
emanata, nel 1914, segnò un’importante svolta, facendo diventare lo
Stato un controllore, più o meno severo, di ogni singolo
prodotto immesso sul mercato.
Il sistema censorio delle origini non deve aver soddisfatto in toto i funzionari dell’allora Regno d’Italia se già nel dicembre
1917 viene, in piccola parte, ritoccato.....
Seppur non ancora in forma ufficiale la precensura nasce, quindi, già
dopo la rotta di Caporetto, per coinvolgere l’industria
cinematografica in maniera più attiva nello sforzo bellico e nella
diffusione di quella cultura di guerra che serve a compattare
il Paese di fronte ad un conflitto che vede il Regno d’Italia in seria
difficoltà, sia dal punto di vista militare che sotto il profilo
del consenso.
La storia ufficiale della censura preventiva inizia nel primo
dopoguerra, con il R.D. decreto n. 1953 del 9 ottobre 1919 che
autorizza il Ministero dell’Interno «a sottoporre a revisione [tutti] i
copioni o scenari dei soggetti destinati ad essere tradotti
in pellicole cinematografiche per la rappresentazione al pubblico» (art.
2). Questa rimane sempre operativa fino alla fine del
regime fascista.
Al termine del Ventennio lo Stato innesta sul regime censorio i
pregiudizi razzisti e, con la legge 517 del 19 aprile 1942, vieta,
oltre all’esercizio di qualunque attività nel campo dello spettacolo
agli appartenenti alla razza ebraica (sia italiani che
stranieri), anche l’utilizzo di «soggetti, sceneggiature, opere
letterarie, drammatiche, musicali, scientifiche ed artistiche e
qualsiasi altro contributo» realizzati da ebrei (art. 3). Queste stesse
norme vanno applicate anche alle pellicole provenienti
dall’estero (art. 4).
Le notizie relative a quanto avvenuto nel controllo dei copioni cinematografici rimangono frammentarie (ad oggi è stato
reperito un solo volume, relativo al periodo 1922-1933) fino al secondo
dopoguerra, quando i materiali relativi a questa
pratica vengono depositati e resi accessibili agli studiosi (presso
l’Archivio Centrale dello Stato di Roma). Dai documenti
emerge chiaramente che, nella storia repubblicana, il momento di maggior
intervento della precensura è il quindicennio che
inizia con la fine della seconda guerra mondiale e arriva fino al 1963,
cioè fino all’emanazione del regolamento relativo alla
nuova legge quadro sul cinema.
La maggioranza degli studi fatti fino ad ora su questo tema si sono
basati su testimonianze e fonti orali, nelle quali registi e
produttori raccontano i colloqui avuti con i burocrati. Questo materiale
rimane fondamentale perché parte del lavoro di
persuasione avveniva appunto in informali “dialoghi” di cui non
rimangono verbali.
Il passaggio in precensura risulta opzionale ma, nel sistema cinema di
questo periodo, senza l’approvazione di questo ufficio
risulta impossibile accedere al credito messo a disposizione delle
produzioni cinematografiche dalla Banca Nazionale del
Lavoro, né ottenere quei premi economici che garantivano un buon rientro
economico all’industria del settore, né, infine,
ottenere il riconoscimento delle coproduzioni (che permettevano
ulteriori sgravi fiscali e premi economici)".