Il Western americano agli inizi degli anni ’60 è al tramonto. Ma questo genere, amato dagli europei, non muore e in Italia, in particolare, viene ripreso e reinterpretato; nasce così il genere che gli Americani, con tono tra l'affettuoso e il dispregiativo, chiameranno "Spaghetti western".
Ma per l'inevitabile confronto con gli autentici capolavori americani, qualcuno pensò che condizione necessaria per il successo del film fosse che non comparissero nomi italiani tra quelli degli attori, e tantomeno del regista; c’era la convinzione che il pubblico, convinto di assistere a film autentici americani, li accogliesse con più favore. Si ricorse così a pseudonimi anglofoni.
Questo album è una raccolta di locandine che documentano titoli e autori che hanno battuto questa via del western “italo-americano”: nell'elenco compaiono più di cinquanta pseudonimi; qualche regista, particolarmente fantasioso, ne ha adottato più d'uno.
Su ciascuna scheda, accanto agli pseudonimi del regista, attori e altri personaggi della produzione, sono indicati i loro nomi reali; così ad esempio Bob Robertson è (Sergio Leone) [6]. Questo fenomeno, macroscopico nei primi anni 1964-65, andrà nel seguito attenuandosi con l'affermarsi del Western quale genere italiano con apprezzate peculiarità proprie.
Visto il considerevole numero di registi che hanno fatto ricorso a questo "stratagemma", vorrei quasi scherzosamente sostenere che sono loro i più genuini interpreti degli "spaghetti western", in quanto sono loro che hanno coniugato l'originale peculiarità che i registi italiani hanno dato a questo genere nato negli Stati Uniti (il Western) con una sorta di ingenua e casereccia furbizia tipica italiana, quella dello pseudonimo, che il nome del prodotto citato (gli Spaghetti) sembra sottolineare.