Neorealismo e dintorni |
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La vispa Teresa (1943) Regia: Mario Mattoli Il film è realizzato nel 1943 ed è una delle prime pellicole ad essere proiettate a Roma, nel settembre del 1944, pochi mesi dopo la liberazione della città da parte degli Americani. E' una commedia brillante, come tante altre, ricca di malintesi, equivoci, situazioni comiche e con il finale, da copione, del giovane ricco che sposa l'umile ma brava ragazza. Il film può avere un certo interesse per alcune sue caratteristiche che, da un lato sono estranee al cinema di Regime di quegli anni, dall'altro anticipano quasi le situazioni "piccanti" della commedia italiana degli anni '60. La trama: Alberto, giovane di famiglia assai benestante, vuole sposare una manicure, ragazza avvenente ma di dubbia moralità. I genitori, non approvando questa decisione, cercano di intralciare la relazione ma, per errore rivolgono la loro attenzione verso un'altra ragazza, anch'essa manicure, e fidanzata di un altro Alberto, un omonimo. Quando finalmente, dopo movimentate vicende e contrattempi, l'equivoco è chiarito, il giovane ricco e la seconda ragazza, che hanno avuto modo nel frattempo di conoscersi ed innamorarsi, decidono di sposarsi, mentre il padre di Alberto si avvia a diventare l'amante della prima.
La novità sta nel
ritratto che il regista fà della ricca famiglia borghese, non
più oggetto dell'insofferenza od anche disprezzo con cui
la cultura e quindi la filmografia fascista del tempo guardava a
questo ceto sociale; anzi il capofamiglia appare come un
energico ed efficiente imprenditore, nonostante la sua moralità
sia di marito che di padre sia molto discutibile; questo
signore, incontrata la prima, discussa, fidanzata del figlio,
attratto dalla sua sensualità cerca di adescarla
sotto gli occhi della moglie e ancora, scoperto dal figlio,
continua nei suoi tentativi, senza alcun ravvedimento. E' un
nuovo modo di descrivere una situazione familiare di per sè
immorale senza alcuna condanna e senza che questo fatto porti
incrinature all'interno della famiglia o ancora di più ad un
dramma, come è nei finali di
Ossessione o
I bambini ci guardano; ma
anzi con una sorta di complicità degli autori del soggetto che
giustificano il "gallismo" dell'uomo a scapito dell'istituto
familiare che viene così ad essere superato nella sua concezione
tradizionale. |
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Manifesto 50x70 Questo formato era tipico dei manifesti durante il periodo fascista.
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