Neorealismo e dintorni

Il film ci offre una descrizione pittoresca, ma al tempo stesso dettagliata e veritiera, delle misere condizioni di vita della popolo napoletano negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra.

 

La trama: un prete, don Pietro,di passaggio da Napoli, viene derubato della valigia; all'inseguimento del ladro, attraverso i vicoli della città, egli ha modo di constatare la miseria in cui vive la popolazione, e in particolare i bambini. Decide di fermarsi e di dedicarsi al recupero dei ragazzi di strada; fonda a questo scopo la "Città dei ragazzi". Gli inizi sono difficili: non ci sono fondi, poi pian piano nella cassetta delle offerte incominciano ad arrivare donazioni in denaro. Don Pietro può rivestire i ragazzi, assicurare loro un pasto, farli studiare, allontanarli dalla strada. Il giorno dell'inaugurazione il prete e i ragazzi vengono però arrestati: le offerte provenivano dalla refurtiva nascosta dai ragazzi che, poco alla volta, vendevano per far fronte alle spese. Ma questa vicenda richiama l'attenzione di tutti: il derubato ritira la denuncia e l'iniziativa di don Pietro può finalmente decollare.

 

E' questo il primo lungometraggio di Luigi Comencini; come la sua prima opera, il cortometraggio Bambini in città, il film è dedicato ai bambini, verso i quali il regista mostrerà sempre una attenzione particolare.  Il film gli viene commissionato dalla casa di produzione LUX con l'obiettivo di replicare il successo della produzione americana La città dei ragazzi con Spencer Tracy; ma Comencini dà alla sua opera un taglio personale, ispirandosi al neorealismo di Zavattini e De Sica; il regista mostra uno stile crudo, documentaristico, descrivendoci la Napoli prima della ricostruzione post-bellica, ed inserendo in questo scenario un elemento preponderante, anch'esso realistico: la condizione dei bambini, abbandonati a loro stessi e costretti a rubare per sopravvivere.

E' interessante una rievocazione di Aldo Tonti, responsabile della fotografia, riportata in [19], a testimonianza del "realismo" voluto da Comencini nella realizzazione del film: "La lavorazione di quel film fu veramente una tragedia perché Comencini volle e trovò dodici scugnizzi veri. Be', la produzione li alloggiò tutti e dodici dalle Suore di Santa Chiara, tanto per non perderli. Questi, invece, erano abituati a vivere di furtarelli e a dormire sulle grate di una tipografia che da sotto mandava loro un po' di calore. Quindi, messi nei letti regolari, invece di trovarsi comodi fecero l'inferno, urlando a tutto fiato contro le "cape ‘e pezza" - ossia le suore, come le avevano battezzate - e sfasciando tutto..... Insomma, del cinema non gliene fregava niente, e neppure del guadagno. Se per ipotesi uno del gruppo sbagliava una battuta o un movimento ed eravamo costretti a ripetere la scena, nasceva subito una zuffa tra loro a base di calci, pugni, graffi e sputi, e ci toccava pure precipitarci a dividerli perché se no si massacravano. L'unico che sopportava tutto con filosofia, come se niente fosse, era Comencini".

 

 

Proibito rubare (1948)

Regia: Luigi Comencini

 

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