Neorealismo e dintorni

In nome della legge (1949)

Regia: Pietro Germi

 

 

La trama: un giovane pretore viene inviato in un piccolo paese, nel centro della Sicilia, per occupare il posto lasciato dal precedente magistrato. La gente lo accoglie con diffidenza e ostilitā; anche le "autoritā" del luogo, a prima vista cordiali, non vedono con favore la solerzia e l'intransigenza professionale del nuovo arrivato; l'unico a dimostrargli simpatia č un giovane, Paolino. Molti uomini nel paese sono disoccupati, per la chiusura di una zolfara, amministrata dal notabile del posto, il Barone Lo Verso, legato alla mafia da cui č protetto. Il pretore si fa carico del problema, invitando il barone a riaprire la miniera, come d'altronde stabilito da una sentenza; ma il barone cerca prima di corromperlo e, non riuscendovi, gli fa tendere un agguato in cui il pretore rimane ferito. Anche il Procuratore Generale, sollecitato dallo stesso barone, stante l'ostilitā della popolazione, gli consiglia di chiedere il trasferimento. Avvilito e impotente contro l'omertā di tutti, il pretore decide di andarsene; ma la morte di Paolino, vittima della mafia, lo convince che č suo dovere restare e ristabilire ad ogni costo il rispetto della legge.
 

 

 

 

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Il regista fa proprie alcune atmosfere del film western americano: il paesaggio arido e sconfinato della Piana di Agrigento, la lotta tra il tutore della legge e i banditi, mafiosi con il fucile in spalla, che a cavallo, in gruppo, si spostano per intimidire e uccidere. Il racconto č asciutto, documentale, di stile neorealista; Germi non commenta ma lascia che i fatti parlino da soli; e i fatti descrivono una realtā fatta di soprusi verso i deboli, di prevaricazione sistematica delle leggi dello stato, di complicitā, o quanto meno collusione, a tutti i livelli dei funzionari che dovrebbero garantirne l'applicazione. La denuncia del regista assume valore epico ed universale, il racconto č corale, quello di una moltitudine di diseredati rimasti senza lavoro (con qualche analogia con il successivo film Il cammino della speranza) e,  oppressi, senza pių alcuna forza di cambiare il proprio futuro.  

Dal sapore neorealista anche la scelta degli attori, molti dei quali reclutati tra la gente del posto.

 

A mio avviso abbastanza trascurabile, con riferimento all'impianto complessivo, la storia sentimentale tra il protagonista e la baronessa; una concessione ai gusti melodrammatici degli spettatori che perō non inficia la forza della denuncia sociale del regista.

 

Molto accurata la descrizione della mafia e delle sue logiche, ovviamente la mafia terriera di mezzo secolo fa, fatta di "massari", luogotenenti e "picciotti", che non uccideva nč donne nč ragazzi; la punizione che i mafiosi infliggono al loro affiliato, macchiatosi dell'uccisione di Paolino, non č quindi un arretramento nei confronti della legalitā rappresentata dal pretore, anzi č una riaffermazione dei loro principi. Appare invece fuori luogo l'aria di pacificazione tra mafiosi e rappresentante della legge che si respira nel finale.

 

 

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